Una delle proprietà essenziali della retta, nella geometria di Euclide, è che essa realizza il cammino di minima distanza tra due suoi punti qualsiasi. Questo concetto di minima distanza ha un'importanza cruciale in molte applicazioni e per questo vogliamo qui affrontarlo in maniera più approfondita, anche se schematicamente e senza alcuna pretesa di completezza, raccogliendo anche quanto abbiamo trattato altrove.
Definizione. Data una superficie S, si dice geodetica una linea γ tracciata sulla superficie che gode della seguente proprietà: ogni arco non troppo lungo di γ, i cui estremi siano A e B, realizza il percorso di minima distanza tra A e B, per chi si muova senza uscire dalla superficie.
E' molto importante segnalare che, nel piano, la precisazione che l'arco sia non troppo lungo è ininfluente, mentre ciò non accade su altre superfici. Per esempio, come vedremo, su una sfera una geodetica è un cerchio massimo, ma se prendiamo su un cerchio massimo due punti A e B essi dividono il cerchio stesso in due parti, una più lunga e una più corta se i punti non sono diametralmente opposti: uno dei due archi realizza la minima distanza, l'altro no.
La cosa ragguardevole è che se consideriamo un essere bidimensionale, costretto a vivere sulla superficie (come gli abitanti di Flatlandia), essi trattano le geodetiche, che per noi in generale saranno curve, esattamente come noi trattiamo le rette: per questi esseri le geodetiche sono linee "diritte".
Procediamo ora con qualche esempio.
Su una
sfera di raggio r si possono tracciare delle
circonferenze che, dal punto di vista di chi abita sulla sfera
stessa, sono definite esattamente come le definiremmo noi,
esseri tridimensionali che possiamo osservare la sfera
"immersa" nello spazio. Se osserviamo la figura qui a
lato ci rendiamo facilmente conto che, per chi vive sulla sfera,
la circonferenza evidenziata ha centro nel punto A e i
suoi "raggi" sono quelli indicati (li chiameremo raggi
intrinsechi). A differenza di quanto succede nel piano,
però, il centro potrebbe essere anche il punto B
diametralmente opposto ad A, ed in questa diversa
visione anche i raggi cambiano opportunamente.
Per chi può guardare le cose dallo spazio, la stessa circonferenza ha un unico centro, diverso sia da A che da B, e situato sul piano che contiene la circonferenza stessa. Anche il raggio che si misura da questo punto di vista è diverso (lo potremmo chiamare raggio estrinseco). Non è difficile rendersi conto, anche a livello intuitivo, che, in generale, gli archi di queste circonferenze non sono i cammini più brevi tra due loro punti.
E'
anche evidente che le circonferenze tracciate sulla sfera non
possono avere raggi intrinsechi arbitrariamente grandi e che
anzi le circonferenze più grandi sono quelle che hanno
raggio estrinseco uguale al raggio della stessa sfera e quindi
raggio intrinseco uguale a πr/2: in questo caso, pur
continuando le circonferenze ad avere due possibili centri,
hanno un unico raggio. Queste circonferenze sono dette circonferenze massime o cerchi massimi. Esse sono, come
è facile provare, e come è intuitivamente
evidente, le geodetiche della sfera: dati due punti A e
B, non diametralmente opposti, esiste un unico cerchio
massimo che passa per entrambi, e il più piccolo dei due
archi di questo cerchio individuati da A e B
rappresenta la linea di minima distanza tra A e
B. Se i punti sono diametralmente opposti di cerchi
massimi passanti per A e B ce ne sono infiniti
e la distanza tra A e B misurata lungo uno
qualunque di essi è πr.
E' interessante osservare anche che, dati due punti A e B sulla sfera, non diametralmente opposti, e il cerchio massimo che passa per entrambi, i due archi individuati sul cerchio da A e B, pur avendo diversa lunghezza, possono entrambi essere considerati "linee diritte" che congiungono i punti. Un essere bidimensionale che parta da A cercando di muoversi "in linea retta" verso B, può indifferentemente seguire uno dei due versi: raggiungerà comunque B. Questo fatto è essenzialmente legato alla "limitatezza" della sfera, che la differenzia dal piano.
Per concludere osserviamo esplicitamente che, se si considerano due punti diametralmente opposti sulla sfera e due semicerchi massimi (due "meridiani") che li colleghino, si viene a costruire una figura interessante che non ha paragoni sul piano: un "poligono" (lo possiamo chiamare così perché i suoi lati sono linee "rette") formato da due soli lati. La cosa è sorprendente perché nel piano nessun poligono limitato può avere meno di tre lati.
Una
volta introdotto il concetto di geodetica, cioè di
"linea diritta", sulla sfera possiamo costruire le
altre figure tradizionali della geometria e chiederci che cosa
succede delle usuali proprietà a cui siamo abituati sul
piano.
Nella figura qui a lato è rappresentato un triangolo costruito utilizzando tre archi di cerchio massimo: si potrebbe provare che qualunque triangolo si costruisca, la somma dei suoi angoli interni è sempre maggiore di 180°, ma questo è argomento della geometria sferica ed esula dagli scopi di questa introduzione al concetto di geodetica.
In ogni caso è importante ripetere che, per chi vive sulla sfera, non c'è alcuna differenza tra questo triangolo e quello che non siamo abituati a vedere nel piano: è solo la straordinaria circostanza che ci permette di guardare le cose da una dimensione superiore, cioè di uscire dalla sfera o dal piano della geometria di Euclide, che ci fa vedere queste situazioni come diverse.
Le immagini qui sotto mostrano tre esempi di archi di geodetica sulla sfera. La prima immagine è la linea più breve tra Napoli e New York, che si trovano sullo stesso parallelo: la geodetica non coincide con il parallelo. La seconda immagine collega due punti più vicini al Polo Nord: la geodetica è notevolmente distante dal parallelo. La terza immagine mostra invece due punti sull'equatore: la geodetica è l'equatore stesso, che è un cerchio massimo.
Se sostituiamo la sfera con un cubo potremo fare qualche ulteriore interessante osservazione derivata dal concetto di linea più breve tra due punti.
Intanto possiamo cominciare con l'osservare che per due punti che stanno su una stessa faccia la linea di minima distanza è sicuramente il segmento ordinario tra i due punti.
Per
trattare il caso di due punti che stanno su facce contigue basta
pensare di sviluppare il cubo su un piano. La figura a lato
mostra che la distanza minima tra i due punti quando le facce
sono sviluppate su un piano è il segmento AB, e
che questo forma con lo spigolo ON due angoli uguali.
Una volta ripiegate le facce per ricostruire il cubo,
poiché naturalmente le lunghezze non variano, il percorso
di minima distanza deve continuare a mantenere gli angoli
uguali: è questa la regola che devono seguire le
geodetiche per passare da una faccia ad una adiacente. Ci si
può chiedere, a questo punto, se un essere bidimensionale
che si muove lungo la geodetica, si accorge oppure no della
presenza dello spigolo. La risposta è no: la linea
ON, che per noi che vediamo il cubo immerso nello
spazio ha un significato speciale, per chi sta sulla superficie
ha esattamente lo stesso valore di una qualunque altra linea ad
essa parallela tracciata su una delle due facce. Infatti
ciò che conta è che gli angoli tra il tragitto
AB e una di queste linee siano uguali (in quanto
opposti al vertice).
Chiediamoci ora come appaiano le
"circonferenze" sul cubo. La cosa è molto
facile se consideriamo circonferenze con raggio tale da non
uscire da una faccia: saranno le ordinarie circonferenze del
piano. Negli altri casi basterà agire come prima,
sviluppando il cubo e poi ripiegandolo.
Non è difficile rendersi conto intuitivamente delle figure che si possono ottenere e che, tutto sommato, non sono sostanzialmente diverse dalle ordinarie circonferenze del piano.
Nella figura qui a lato abbiamo considerato tre diversi esempi, di cui uno tratta il caso di centro su un vertice del cubo.
Vogliamo ora provare a costruire poligoni, cioè figure chiuse delimitate da "segmenti", ovvero parti di geodetica. Naturalmente, come nel caso delle circonferenze, saranno interessanti solo le figure che non hanno tutti i lati su una faccia, dove le cose vanno come nell'ordinario piano di Euclide.
Cominciamo a considerare la linea chiusa rappresentata
in rosso nella figura qui a lato: a chi la guarda dallo spazio
tridimensionale, appare essere un quadrato ottenuto per sezione
del cubo con un piano. A chi vive sul cubo invece la linea
appare come una linea continua senza alcun vertice (ricordiamo
che non è possibile apprezzare la presenza degli spigoli
del cubo, senza "uscire" dal cubo stesso): si tratta
di un poligono chiuso con un solo lato!
Notiamo che i contorni delle facce del cubo, che per noi sono identiche al monogono precedente, sono invece intrinsecamente diverse: in questo caso anche chi sta sul cubo può apprezzare la presenza dell'angolo tra due spigoli della stessa faccia.
Per chi sta sul cubo il bordo di una faccia è un quadrato esattamente come quello che uno potrebbe tracciare all'interno di una faccia (vedi, nella figura a lato, il rettangolo interno alla faccia superiore). Per rendersi conto ancora meglio del fatto che questa linea ha, vista dal cubo, un solo lato, si può pensare di sviluppare il cubo, in modo che le quattro facce interessate siano adiacenti una all'altra: il quadrato si sviluppa in un segmento.
Esistono anche altri monogoni sul cubo: l'esempio
più semplice è l'esagono, ottenuto
congiungendo i punti medi di sei spigoli.
Anche sul cubo, come sulla sfera, si possono poi tracciare
poligoni con due lati. Basta esaminare la figura qui a sinistra,
che non è, nella sostanza, molto diversa da quella che
abbiamo indicato sulla sfera (un "bigono" che ha come
vertici due punti diametralmente opposti e come lati due
meridiani passanti per quei punti).
Proseguendo con il numero dei lati, ci si può
chiedere come sono i triangoli tracciati su un cubo. In generale
non è difficile rendersi conto intuitivamente di come
vanno le cose, magari ragionando sullo sviluppo piano del cubo.
Ci sono anche alcune situazioni interessanti (e sorprendenti)
come quella del triangolo equilatero con i vertici su tre facce
del cubo.
In generale su superfici più complesse le linee
geodetiche sono curve più difficili da descrivere. Fanno
eccezione le superfici che si possono sviluppare su un piano,
come i cilindri e i coni: in questo caso si potrà, dati
due punti sulla superficie, svilupparla sul piano, tracciare il
segmento che unisce i due punti, e successivamente ricostruire
la superficie di partenza. Ci sono comunque alcune
difficoltà, anche nel semplice caso del cilindro, di cui
ci si può rendere conto esaminando la figura. Immaginiamo
di arrotolare il rettangolo LMNP, facendo coincidere i
lati LP ed MN: i punti B e
B' andranno a coincidere. Ora nel rettangolo
i segmenti AB e AB' sono entrambi
"rettilinei", ma connettono due punti distinti. Dopo
l'arrotolamento essi dovranno continuare ad essere
considerati "rettilinei", ma connetteranno lo stesso
punto. E' ovvio che solo uno dei due sarà il cammino
più breve tra A e B sul cilindro, ma,
poichè entrambi avranno i titoli per essere chiamati
"diritti", potremo concludere che tra i due punti
potranno passare due distinte "rette". La cosa
è in realtà ancora più complessa:
esaminando di nuovo la figura ci possiamo rendere conto che il
percorso AC'+CB', che a noi appare
"diritto", ma spezzato, sul cilindro apparirà
ancora "diritto", ma questa volta non più
spezzato e collegherà ancora i due punti A e
B. Dati due punti esistono, in generale, infinite
"rette" distinte che passano per entrambi (fanno
eccezione i punti che si trovano su una circonferenza ottenuta
sezionando il cilindro con un piano perpendicolare
all'asse). Le curve del tipo di quelle tracciate si chiamano
eliche circolari. La "distanza verticale" tra
due "spire" di una di queste curve si chiama
passo dell'elica. Il segmento verticale si usa
interpretare come un'elica di passo infinito, mentre le
circonferenze ottenute per sezione con un piano
"orizzontale" sono eliche di passo zero.
Insomma: estendere il concetto di "linea retta", così usuale e apparentemente semplice nel piano, ad altre superfici, non è poi una cosa tanto banale!