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"2015, fine della scuola?"

Convegno di Tuttoscuola a Genova, 26 novembre 2004

Pubblichiamo in questa pagina un estratto dell'intervento di apertura di Giovanni Vinciguerra, direttore di Tuttoscuola, al Convegno organizzato dalla stessa rivista a Genova il 26 novembre 2004, in occasione del salone sulla scuola promosso dalla Fiera di Genova.

Ci pare un intervento di notevole importanza e che merita di ottenere la più ampia diffusione nel mondo della scuola, in quanto pone l'accento su una grande quantità di problemi che affliggono il sistema istruzione oggi in Italia. Naturalmente, come dice lo stesso dr. Vinciguerra, «è opportuno porsi questi problemi non in chiave catastrofica o allarmistica, ma certamente per non trovarsi impreparati di fronte alla prospettiva che tra 10 anni un ragazzino o un adolescente possa alzare gli occhi verso la cattedra e dire: "ma quella signora cosa ha da insegnarmi?"».

La rivista Tuttoscuola costituisce un sicuro punto di riferimento per chi opera nell'ambito scolastico: potete trovare tutti i riferimenti e contatti utili sul sito http://www.tuttoscuola.com. Sulla home page del sito troverete anche il link alla versione integrale di questo articolo, e ve ne suggeriamo una attenta e meditata lettura: l'estratto che qui pubblichiamo può dare solo un'idea approssimativa del dibattito sviluppatosi nel convegno.

Questo estratto è pubblicato per gentile concessione della redazione della rivista Tuttoscuola

Il titolo che abbiamo scelto per questo convegno "2015, fine della scuola?", è una domanda dal sapore vagamente provocatorio. Anzi volutamente provocatorio. E in fondo paradossale. E’ un paradosso pensare che nel breve arco di un decennio l’istituzione scuola come la conosciamo oggi e come si è sviluppata nell’ultimo secolo possa "finire".

Del resto tutti noi NON VOGLIAMO che finisca, anche perché chi ci lavora, dal di dentro o intorno ad essa, crede – nella maggior parte dei casi – in quello che fa.

Ma questo non può far indulgere a un sereno ottimismo, non implica chiudere gli occhi e anche le orecchie davanti a fenomeni e tendenze ormai ben visibili e documentabili ...

Si tratta di tendenze per le quali non è difficile pronosticare degli effetti rilevanti – diretti o indiretti - sul modo di fare scuola, sui compiti che la società richiederà ad essa in futuro. Sono in atto dei cambiamenti a livello economico, sociale, geopolitico che metteranno seriamente in discussione l’istituzione scuola come la conosciamo oggi e il rapporto docente-alunno: un rapporto che forse non a partire da domani, ma già da oggi è diventato più complesso. E nuove complessità lo investiranno.

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Ha detto qualche giorno fa il Presidente della Repubblica parlando ad Enna a degli studenti: "Il primo dei nostri doveri è di dare a voi giovani scuole di ogni ordine e grado che vi consentano di sviluppare tutto il potenziale della vostra intelligenza, della vostra voglia di fare". Ecco, il saggio richiamo del Presidente Ciampi, rischia di arrivare tardi.

Si tratta di un rischio potenziale, assolutamente non di una certezza, e non saremo certo noi a fare le "cassandre" per la scuola. Ma vale la pena studiare a fondo il problema, guardarci bene dentro. Prevenire è meglio che curare...

Ecco, far acquisire la consapevolezza che siamo di fronte a tendenze che imprimeranno nei prossimi anni un cambiamento di intensità inedita è l’obiettivo principale della nostra inchiesta e di questo convegno. Ciò che auspichiamo è proprio che sia l’avvio di una riflessione e di un dibattito.

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Lo studente del 2015 sarà profondamente diverso da quello di oggi, molto più di quanto quest’ultimo non sia rispetto a quello di dieci anni fa. Se già oggi il modello del docente tradizionale comincia a "stare stretto" allo studente curioso, inserito nel proprio tempo, cosa succederà tra dieci anni allo stesso docente che si troverà di fronte un adolescente ancora diverso, che avrà interiorizzato sia il progresso tecnologico, sia la società multirazziale e globalizzata?

Insomma, se la scuola non si adegua rischia di essere tagliata fuori, di "non servire più" alla società che dovrebbe formare e rispetto alla quale offrirebbe modelli superati. L’adolescente del 2015 accetterà di dedicare ad essa tanta parte del suo tempo?

E’ sufficiente che lo studente-tipo guardando un giorno chi sta dietro la cattedra arrivi a chiedersi: "ma cosa ha da insegnarmi quella signora?". E certo non aiuteranno l’aula scrostata e il banco rotto, teatro triste del fare scuola. Il rischio è quello di una nuova frattura generazionale, diversa da quella del ’68, non più a carattere ideologico e politico, ma basata sull’insofferenza dell’adolescente di domani, sulla perdita di credibilità e di senso dell’istituzione scuola, sulla sua incapacità di comunicare se stessa, di usare linguaggi e strumenti diversi.

Se questi sono rischi concreti, cosa può fare la scuola per evitarli? Ci sono i tempi tecnici per prepararsi?  Il 2015 è una data non così vicina da ancorare le previsioni evolutive agli assetti esistenti, ma neppure tanto lontana da rendere immaginaria qualunque ipotesi sui cambiamenti futuri.

Nel giro di un decennio gli scolari nati nel terzo millennio, cresciuti in un "brodo tecnologico" con computer palmare e videotelefono, connessi a internet dalla nascita, abituati al compagno di banco straniero, ad essere giovani in una società sempre più anziana, come guarderanno il loro "prof."? Cosa si aspetteranno da lui, potendo già contare su potenti strumenti alternativi di conoscenza e di informazione e su innumerevoli stimoli, quali avranno a disposizione nell’era, ormai dietro l’angolo, della banda larga e della piena integrazione TV-telefono-PC?

Le direttrici del cambiamento

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Insomma sono tanti i segnali che portano, chi vuole ascoltarli, a pensare che la scuola si trovi su un difficile crinale, forse senza saperlo. In una società in via di invecchiamento che avrà meno risorse da dedicare ai giovani, che si apre al sapere "non formale" e all’"informale", con un insegnante anziano e meno motivato, in un ambiente sempre più tecnologico e multirazziale, la scuola di oggi rischia di essere percepita come un luogo obsoleto e inadatto a soddisfare le esigenze di quelli che abbiamo chiamato i ragazzi del 2000+.

Ecco allora la scommessa dell’educazione che si giocherà nei prossimi anni. In gioco c’è la credibilità e l’esistenza stessa della scuola come istituzione di riferimento per la crescita e lo sviluppo della società.

Gli allarmismi non servono, ma l’invito a riflettere su una questione strategica per il nostro Paese è doveroso, e vale per tutti: operatori scolastici, genitori, decision e opinion makers, università, imprese. E mondo della politica.

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pagina pubblicata il 19/04/2005 - ultimo aggiornamento il 19/04/2005