di Gabriele Lolli, Università di
Torino
La Stampa, 19-03-2003
Questo articolo è riprodotto integralmente per gentile concessione dell'autore
Passata la sbronza dell'astrazione, la matematica è tornata ad aprire gli occhi sul mondo e lo ha trovato diverso, fatto di macchine, cellule, "stringhe"; adesso sta cercando di dominarlo, inventando nuovi concetti e nuove tecniche.
C'è molto lavoro da fare. Il matematico, ridiventando esploratore, deve riscoprire le doti dei pionieri come Eulero, la curiosità, la fantasia, la sperimentazione, la capacità di costruire modelli formali, la spregiudicatezza di un Feynmann, la duttilità del polymath.
I giovani delle società sazie e pigre credono di vedere il mondo entrare nella loro stanza, e non sentono la spinta ad esplorarlo; non hanno più voglia di dedicare anni alla preparazione approfondita in una disciplina, a formarsi gli strumenti della conoscenza; la credono e vedono arida, e non è colpa loro.
La matematica non si impara studiandola, ma facendola. Un candidato alla tesi di abilitazione all'insegnamento presenta il suo tirocinio sull'argomento dell'ellisse: formule e figure, ma non menziona Keplero e le orbite dei pianeti; dice che non ne ha parlato perché "a fisica" quel punto del programma non l'avevano ancora fatto.
Una moderna proposta, in stile swiftiano: aboliamo i programmi e le materie. O lasciamo solo una traccia tenue di obiettivi generici, che costringa gli insegnanti a inventare come riempire il tempo che è dato loro, a far appassionare i ragazzi con vere sfide della mente, che facciano conoscere le imprese intellettuali della storia e rafforzino le loro capacità logiche.